I traumi precoci e le loro conseguenze

I traumi precoci e le loro conseguenze

SOTTOTITOLO: Dopo l’affermazione dell’approccio pulsionale e dei successivi approcci cognitivo-comportamentali, confrontativi e prescrittivi mirati a produrre ulteriori adattamenti, sta oggi emergendo l’approccio integrativo delle esperienze scisse e dei domini della personalità. Centrale il contributo delle neuroscienze e della neurobiologia.

“In my end is my beginning” (T.Eliot) ovvero: quando tutto va in rovina, è il momento della rinascita. In questo tempo, la crisi antropologica che viviamo, segnata dalle conseguenze più estreme della competizione e della contrapposizione tra singoli, gruppi, culture, ci pone davanti due possibilità: portare fino alla fine la lotta “contro” e perire, oppure ripartire dalle relazioni, dalla cooperazione, fatta di rispetto, reciproca accettazione e comprensione.

Nella mia esperienza, per noi “comuni mortali” tre sono i punti di snodo cruciali.

  1. Abbiamo bisogno di raggiungere innanzitutto un accordo su cosa intendiamo per “relazione”. Per qualcuno, la relazione è la motivazione fondamentale del comportamento. Per me lo è. Si tratta non solo di una visione della persona di tipo filosofico, ma anche di un dato che trova conferma anche nelle recenti scoperte delle neuroscienze. La qualità della relazione – il modo in cui stiamo in relazione con l’altro – promuove infatti la crescita e il cambiamento. Un valore fondativo è il rispetto e il desiderio di comprendere in profondità – e perciò innanzitutto di conoscere – l’esperienza dell’altro.
  2. La mancanza di rispetto per l’altro genera infatti rotture di contatto nella relazione, sofferenza e disagio spesso così significativi da obbligare la persona ferita ad adottare inconsapevolmente strategie spesso autolimitanti per porre argine al dolore provocato dall’interruzione di contatto ad esempio con il bisogno di essere rispettata. Così, può accadere che la persona si blocca in qualche aspetto del suo funzionamento, può cioè smettere di pensare, o di provare emozioni, o di sentire il proprio corpo, o di avere comportamenti produttivi. Come conseguenza, la persona appare contraddittoria e non armoniosa tra ciò che pensa, sente, avverte e fa. Queste strategie di sopravvivenza vengono il più delle volte stabilite in modo inconsapevole nelle epoche più precoci della vita e diventano il fondamento su cui basano le relazioni nel corso della vita. Il secondo punto di snodo sta nel riconoscere che sono gli originari traumi e la trascuratezza dei bisogni in relazione che provocano relazioni interpersonali piene di sofferenza e di frustrazione, cioè di conflitto.
  3. Per questo, il terzo punto di snodo sta nell’utilizzo di metodi che siano efficaci nello stabilire contatto amorevole e pieno di rispetto verso l’altro. Da questo punto di vista, le discipline psicologiche e psicoterapeutiche oggi si presentano ancora profondamente separate (anch’esse scisse) tra loro. Sono state sviluppate molte tecniche che lavorano sul piano corporeo, oppure cognitivo, oppure emotivo, oppure comportamentale. Tuttavia, siamo ancora molto lontani dall’acquisizione del dato di realtà che il processo di reintegrazione delle proprie potenzialità che all’epoca di un certo trauma furono dismesse e rimosse risiede in larghissima parte nell’integrazione personale raggiunta da chi si assume la responsabilità di offrire una relazione di cura. Un’integrazione personale che non è frutto di tecniche più o meno sofisticate, ma della disponibilità a prendersi continuamente cura di sé e a risolvere i propri problemi per offrire all’altro una relazione piena di contatto. E’ la qualità della relazione che guarisce, non le tecniche. E’ il modo con il quale stiamo in contatto con l’altro che promuove ulteriore e più profondo contatto e riconnessione con le parti scisse di sé all’epoca del trauma, con lo scopo vitale di fronteggiare un dolore troppo grande da essere sostenuto. E un bambino non può sostenere un grande dolore. Deve difendersene.