Famiglia “ibridata” o famiglia “focolare”?

Famiglia “ibridata” o famiglia “focolare”?

L’incerta qualità delle relazioni familiari nell’epoca delle reti digitali.

Cosa succede alla relazioni familiari nell’era delle reti digitali? Una domanda importante, a cui il nuovo Rapporto 2017 del Centro Internazionale Studi sulla Famiglia cerca di dare risposte empiriche, cioè basate sui dati raccolti attraverso le indagini tra la popolazione condotte dai ricercatori del Centro. Non è facile riassumere 350 pagine fitte di dati, tabelle, considerazioni tra presente e futuro presentate presso Agcom.

In estrema sintesi, nel corso degli ultimi decenni, come spiegato dal direttore Cisf, Francesco Belletti “le ICT (Tecnologie di Informazione e Comunicazione, ndr) hanno costruito un ambiente cosiddetto “virtuale” (…) fatto di una vasta gamma di strumenti utili a inviare messaggi, produrre e far circolare informazioni di ogni tipo, che poco a poco sta trasformando il modo di pensare, gli stili di vita, le forme organizzative, in breve la configurazione socioculturale della società e, con essa, della vita familiare. Al punto che oggi ci accorgiamo che sono in gioco tutte le civiltà basate sulle tradizioni culturali locali”.

Tradotto in parole molto semplici: la diffusione di Internet, in Italia soprattutto di Whatsapp e Facebook – per il momento – sta facendo impatto e modificando sempre più i nostri modi di essere, di pensare, di relazionarci, la nostra cultura, i nostri valori e stili di vita, al punto che si parla di famiglia “ibridata”.

L’immagine in copertina al volume mostra un paradosso in modo illuminante: insieme ma soli. “Nella famiglia di oggi, aggiunge Belletti, il calore delle relazioni corporee, faccia a faccia, si mescola sempre più con le comunicazioni che avvengono con lo smartphone o attraverso Internet. (…) Le nuove tecnologie assumono spesso il significato di un consumo, ossia di un sostituto di relazioni interpersonali, in atto o potenziali, e quale additivo di informazioni che altrimenti non si otterrebbero”.

Occorre, quindi, una buona capacità di autoregolazione nell’uso di queste tecnologie, per evitare che man mano si sostituiscano alle relazioni reali, così arrivando a credere di avere molti amici ma senza averne di reali, di avere dei genitori senza però parlarci in profondità, di avere dei figli senza tuttavia guidarli ed educarli realmente. E’ il paradosso dello pseudo-contatto in relazione. Questo non è propriamente un fatto marginale, ma sostanziale e pericoloso, soprattutto per quanto riguarda i bambini e gli adolescenti, poiché lo sviluppo del cervello, ovvero della personalità, è del tutto dipendente dalla qualità delle relazioni reali. I neuroscienziati, non a caso, parlano oggi di “mente relazionale”.

Abbiamo bisogno di relazioni soprattutto reali, poiché la qualità della nostra vita dipende dal soddisfacimento di specifici bisogni relazionali che si possono soddisfare solo nelle relazioni reali. Abbiamo bisogno di relazioni reali per sviluppare capacità di empatia, cioè di stare in contatto con gli altri. E l’empatia è possibile solo se vengono esercitati neuroni specificamente relazionali. Molte ricerche mostrano la drammatica perdita di capacità empatiche a causa della mancata stimolazione di quel certo tipo di neuroni. E su questo tema si aprono domande su domande.

Questi dati fondamentali hanno bisogno di essere diffusi e conosciuti dalla più larga parte di popolazione possibile. Abbiamo bisogno di imparare ad autoregolarci e di imparare COME regolare i nostri figli all’interno delle nostre famiglie. Abbiamo bisogno DI un METODO, come genitori, per stabilire relazioni con i nostri figli in modo da rimanere noi il riferimento affettivo, morale e spirituale per loro. Spesso, quando i genitori faticano ad accudire in modo responsabile e affettivo profondo, i figli si rifugiano in queste tecnologie che costituiscono per loro una compensazione ad una mancanza del riferimento profondo di cui hanno estremo bisogno e che infatti cercano e trovano a portata di mano in questi strumenti di comunicazione, che poi di per sé non sono né buoni né cattivi. Dipende dall’uso che se ne fa. Se per giunta sono i genitori stessi a farne un uso improprio, sostitutivo, compensatorio di vuoti relazionali, la sfida educativa rischia seriamente di essere persa a vantaggio dei colonizzatori e manipolatori delle coscienze fin dalla più tenera età.

Ma l’antidoto c’è ed è molto potente: è sufficiente che i genitori non si lascino soli e non vengano lasciati soli a crescere i loro figli. Il gruppo, la comunità è l’antidoto. Un tema cruciale e decisivo, questo, su cui val la pena di tornare in un prossimo articolo.